Nando Sigona, Figli del ghetto. Gli italiani, i campi nomadi e l'invenzione degli zingari, Nonluoghi Libere Edizioni, Trento 2002.
"L'idea centrale del libro è mostrare come il sistema esistente in Italia di gestione del 'problema zingari' può fare completamente a meno dei Rom, delle persone in carne ed ossa. Quello che serve perché questo sistema funzioni sono solo dei radicati stereotipi, i campi nomadi e qualcuno -i rappresentanti, i volontari - che si prenda la briga di parlare al loro posto.
I campi, fenomeno tipicamente italiano, non esistono dappertutto. Non sono l'unica, e naturale, scelta abitativa per i Rom. Nel libro sono citati una serie di documenti e articoli risalenti agli anni '70 in cui per la prima volta dal dopoguerra si inizia a parlare di campi di sosta per i 'nomadi'. Se allora, a causa delle diverse necessità di Sinti e Rom italiani, certe scelte potevano essere giustificate (i divieti di sosta per i gruppi itineranti erano molto diffusi ed impedivano ai viaggianti di sostare e li costringevano ad un errare continuo), non lo è affatto che in seguito si sia applicata la ricetta campo a tutti, viaggianti e sedentari, profughi di guerra, Rom immigrati e italiani per il solo fatto di appartenere alla comunità Rom (nell'accezione generica del termine).
Questo trend è stato sostenuto e legittimato dalle le leggi regionali a 'tutela' dei Rom, approvate a partire dal 1984 da 11 consigli regionali e dalla provincia autonoma di Trento. Le cosiddette 'leggi fotocopia' sono basate su un canovaccio elaborato dall'Opera Nomadi. Ci sono elementi importanti e di valore in questi testi, ma c'è soprattutto il binomio 'tutela del nomadismo' e 'costruzione dei campi'. Negli articoli iniziali di quasi tutti i provvedimenti si parla di campi per i Rom: campi di sosta e campi di transito. I primi per gli stanziali, i secondi per i nomadi. Questi campi sono diventati il modello di riferimento per tutte le amministrazioni che sono state costrette ad intervenire, quasi nessuna l'ha fatto per spirito di carità, a causa delle gravi condizioni di vita dei Rom e l'emergenza sociale che ne derivava.
I campi li facciamo noi, i nostri architetti, ingegneri, geometri, assessori, e sono una rappresentazione architettonica di come noi vediamo loro, gli zingari. Rappresentazione, certo, ma non priva di conseguenze per chi la subisce e vi cresce dentro. Parlare di campi non ha senso se non in rapporto al territorio in cui esistono. I campi non sono fuori dal mondo, come non lo sono i Rom. Nei campi entra la camorra, entra la droga, entra la guerra, entrano volontari e funzionari comunali, qualche volta anche un cardinale o un sindaco. Ma tutto è filtrato. Tutto passa attraverso i cancelli e le recinzioni..."
fonte: Non Luoghi
I campi, fenomeno tipicamente italiano, non esistono dappertutto. Non sono l'unica, e naturale, scelta abitativa per i Rom. Nel libro sono citati una serie di documenti e articoli risalenti agli anni '70 in cui per la prima volta dal dopoguerra si inizia a parlare di campi di sosta per i 'nomadi'. Se allora, a causa delle diverse necessità di Sinti e Rom italiani, certe scelte potevano essere giustificate (i divieti di sosta per i gruppi itineranti erano molto diffusi ed impedivano ai viaggianti di sostare e li costringevano ad un errare continuo), non lo è affatto che in seguito si sia applicata la ricetta campo a tutti, viaggianti e sedentari, profughi di guerra, Rom immigrati e italiani per il solo fatto di appartenere alla comunità Rom (nell'accezione generica del termine).
Questo trend è stato sostenuto e legittimato dalle le leggi regionali a 'tutela' dei Rom, approvate a partire dal 1984 da 11 consigli regionali e dalla provincia autonoma di Trento. Le cosiddette 'leggi fotocopia' sono basate su un canovaccio elaborato dall'Opera Nomadi. Ci sono elementi importanti e di valore in questi testi, ma c'è soprattutto il binomio 'tutela del nomadismo' e 'costruzione dei campi'. Negli articoli iniziali di quasi tutti i provvedimenti si parla di campi per i Rom: campi di sosta e campi di transito. I primi per gli stanziali, i secondi per i nomadi. Questi campi sono diventati il modello di riferimento per tutte le amministrazioni che sono state costrette ad intervenire, quasi nessuna l'ha fatto per spirito di carità, a causa delle gravi condizioni di vita dei Rom e l'emergenza sociale che ne derivava.
I campi li facciamo noi, i nostri architetti, ingegneri, geometri, assessori, e sono una rappresentazione architettonica di come noi vediamo loro, gli zingari. Rappresentazione, certo, ma non priva di conseguenze per chi la subisce e vi cresce dentro. Parlare di campi non ha senso se non in rapporto al territorio in cui esistono. I campi non sono fuori dal mondo, come non lo sono i Rom. Nei campi entra la camorra, entra la droga, entra la guerra, entrano volontari e funzionari comunali, qualche volta anche un cardinale o un sindaco. Ma tutto è filtrato. Tutto passa attraverso i cancelli e le recinzioni..."
fonte: Non Luoghi
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1 Comment:
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- Anonym said...
6/06/2008 09:47:00 AMA proposito di questo post e di quanto dicevamo ieri sera, è utile dare uno sguardo a questa illuminante serie di interventi di Alberto Prunetti su Carmilla sui luoghi comuni contro rom e sinti. Qui trovate la 4a parte e i link alle precedenti. http://www.carmillaonline.com/archives/2007/12/002482.html#002482
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