inoltro i pensieri di un amico sul film della Sabbbrina:

"Qualche settimana fa ho visto il film della Guzzanti: non se consigliarvelo o meno, anche tenendo conto degli improperi pronunciati dai pochi spettatori in sala, e sempre ammesso che non l'abbiate già visto anche voi, ma, non so bene perché, avevo pensato di scriverne.
Mi sono chiesto se davvero un'opera d'arte può lasciare un segno profondo, al punto da consentire a chi ne fruisce una percezione diversa di sè e della vita e, soprattutto, se anche l'artista si propone questo intento o se piuttosto si limita ad esprimere liberamente la sua creatività, lasciando a ciascuno la fatica di decifrarla come vuole. Si parla di film, di libri, di versi etc. che "cambiano" le nostre vite, forse perché, in certi momenti, siamo più determinati a cercare una via d'uscita, a provare uno scatto in avanti. Ma quasi sempre siamo, o almeno io così mi sento, come i telespettatori del "Truman show", che, dopo essersi commossi di fronte alle gesta di Jim Carrey/Truman, anziché trarne ispirazione, le rimuovono immediatamente e ricercano il successivo programma nella guida tv.
Comunque, ho pensato a tutto questo uscendo dal cinema, e in particolare alla generosità della Guzzanti, perché ho percepito il suo slancio nella realizzazione di questo lavoro, il desiderio di raggiungere lo spettatore. A mio parere è un film autentico, in cui, tra l'altro, riesce a perfezionare il suo stile e a non ripetersi.
Un'immagine piacevole è quella degli amici di sera, riuniti a tavola, a ridere di sciocchezze, senza prendersi sul serio. Vi chiederete cosa c'è di particolare in una scena come questa, vista tante altre volte al cinema o in tv: niente. Però... però... all'improvviso questa volta ho avvertito una strana sensazione, quella di essere spinto a confrontarmi con il ricordo di un tempo più scanzonato, ormai lontano, ma qui prospettato come ancora ripetibile. Mi direte: sei invecchiato, oppure: problemi tuoi, riguarda solo te. D'accordo, ma aggiungo che si tratta di una scena girata nello stile di un "reality show", recitata da attori che interpretano se stessi, come in tutto il film, e dunque è voluta dall'autrice, ha un suo significato. Forse ci dice che non si tratta soltanto di amici che si ritrovano, dopo molti anni, per organizzare uno spettacolo in Sardegna a sostegno di una giusta causa (salvo sorpresa finale). Forse è un pretesto per lasciar trapelare anche qualcos'altro, che riguarda il modo di essere della società; di come, per esempio, il piacere della spontaneità potrebbe essere stato soppiantato da comportamenti coatti, perfino se si tratta di trascorrere una serata in simpatica compagnia, davanti a un buon bicchiere e a un buon piatto.
La solita nostalgia dei vecchi tempi? La Guzzanti non solo non se ne fa intrappolare, così come ignora il catastrofismo di giornali e tg - peraltro criticati per la loro inconsistenza - ma ci esorta a sconfiggere la passività e soprattutto ci ricorda di dare una forma precisa ai nostri desideri, con l'avvertimento che ciò comporterà una certa dose di frustrazione, magari da sopportare grazie al sostegno di amici sinceri.
Loche è uno dei personaggi/attori su cui è incentrato il film. Coinvolto nell'iniziativa per quel suo talento comico, di cui, a dire della regista, non è pienamente consapevole, si ostina affannosamente a voler suonare la batteria, col risultato di far...davvero ridere!! Da anni, poi, è pronto il suo spettacolo, tanto originale quanto promettente, che però evita di mettere in scena senza spiegarne il motivo alla sua ospite, inutilmente tesa a spronarlo. Perché questo evitamento? Per suscitare il rammarico davanti a tanto spreco e, ancora una volta, in virtù di una proiezione, per far rivivere allo spettatore lo stesso sentimento nei confronti dei propri blocchi e della propria inattività? Però, è proprio lui a incoraggiare la Guzzanti poco prima di salire sul palco, raccontandole l'aneddoto del brodo: durante la sua permanenza in un collegio, una volta trovò il coraggio di rifiutare il pessimo brodo che il "fratello", così i ragazzi chiamavano il loro educatore, serviva quotidianamente a mensa. La punizione esemplare che da lui subì a causa del rifiuto, una gragnòla di pugni in testa al centro della sala, al suono della parola "brodo" ripetuta ad alta voce, servì a convincere i compagni lì presenti a mangiarlo senza tante storie. Ecco perchè il proprio compito, le racconta, va terminato, anche quando se ne vorrebbe fare a meno. Ti confesso che, davanti alla timida obiezione della regista, ho provato nuovamente una strana sensazione. Anch'io, infatti, come lei, avevo tratto dalla storiella una conclusione ben diversa e ne avevo immaginato il protagonista, il giovane Loche, come un ribelle in erba, un Gianburrasca anelante alla libertà. Macché! La minestra va mangiata, e in questo caso, riferendosi allo spettacolo, è pure buona. L'artista non deve cedere allo sconforto.
Chissà, a volte vale la pena andare fino in fondo, magari qualcuno esce dal cinema pensandoci un po' su".
A presto, Gerhard

1 Comment:

  1. citone said...
    Ma lenore chi è questo amico?
    Molto molto interessante la storiella del brodo

Post a Comment